Caviglia "riconquistata" con la protesi
Quando l'articolazione non funziona più, l'impianto può ripristinare il movimento e migliorare la qualità di vita
MILANO - L’articolazione della caviglia è facilmente interessata da processi artrosici degenerativi con conseguenze che possono essere molto invalidanti. Nelle fasi avanzate dolore e perdita del movimento possono, infatti, imporre importanti limitazioni. La buona notizia è che oggi quando la caviglia è agli "sgoccioli" è possibile ottenere un significativo recupero funzionale e un miglioramento della qualità della vita con il ricorso a una protesi. Questa strategia quando ben utilizzata, in mani esperte e nei corretti candidati, offre indubbi vantaggi rispetto alla sua unica alternativa, ovvero l’artrodesi, o blocco totale della caviglia.
USURA DELLA CAVIGLIA - Quando si parla di artrosi di solito si pensa subito all'anca o al ginocchio, ma anche la caviglia è spesso interessata da processi di degenerazione articolare. Tanto per avere un'idea, si stima che circa il 10-15 per cento di tutti i traumi sportivi sia a carico di questo complesso articolare sottoposto a sollecitazioni continue. Non solo, più del 40 per cento delle lesioni capsulo-legamentose acute di caviglia possono evolvere in una instabilità cronica che nel tempo può favorire lo sviluppo dell'artrosi. «Processi degenerativi a carico della caviglia sono in effetti diffusi - conferma Alessandro Farnetti, responsabile dell’Unità operativa di chirurgia del piede e della caviglia dell’Istituto clinico Città Studi di Milano -. In genere sono la conseguenza di traumi, instabilità croniche e sovraccarico funzionale e più raramente di episodi artritici. Oggi sono sempre più comuni i casi di persone, spesso giovani, che in seguito a episodi traumatici (incidenti sportivi o stradali) si trovano a fare i conti con un quadro di degenerazione articolare progressiva che (se non tenuto attentamente sotto controllo) può esitare in una limitazione funzionale più o meno invalidante, impedendo la pratica sportiva ma anche attività comuni come passeggiare, guidare e lavorare».
LE CURE - Per contrastare la degenerazione articolare della caviglia si può agire su più fronti a seconda della gravità del danno. «Nelle fasi iniziali l’approccio terapeutico è conservativo e basato su terapie fisiche palliative (tra le quali gli ultrasuoni, la ionoforesi, l’ipertermia, le cure termali) oppure sull’impiego di alcuni farmaci, tra cui gli antinfiammatori e i condroprotettori, che avrebbero un'azione protettiva nei confronti della cartilagine e che vanno presi per tempi molto lunghi con risultati molto discutibili - spiega Farnetti -. È inoltre importante che il paziente segua una serie di accorgimenti per rallentare la progressione del danno articolare, come perdere peso qualora sia in sovrappeso ed evitare attività sportive che presuppongono il carico dell’articolazione e che comportano un rischio più elevato di traumi come calcio, tennis, corsa. Quando l’usura dell’articolazione è in fase avanzata con conseguenti limitazioni importanti del suo funzionamento e dolore vale invece la pena prendere in considerazione la possibilità di una soluzione chirurgica».
CHIRURGIA - Nella scelta dell’intervento chirurgico bisogna tenere in considerazione non solo il grado di degenerazione e limitazione funzionale, ma anche l’età, le condizioni generali e le aspettative del paziente. «Quando è possibile è meglio optare per l’impianto di una protesi piuttosto che sull’artrodesi: entrambe tolgono il dolore, ma mentre la prima consente di ridare alla caviglia una certa capacità di movimento, la seconda comporta il blocco totale dell’articolazione - segnala l’esperto -. Va però detto che non tutti i pazienti sono buoni candidati alla protesi. Questo tipo di approccio non è indicato in situazioni di necrosi o cattiva qualità delle ossa della caviglia, mentre controindicazioni relative sono rappresentate da pregresse infezioni dell’osso (se non si ha la certezza della loro guarigione) nonché difetti cutanei, per esempio esiti cicatriziali o trapianti cutanei secondari a incidenti, per il rischio di non avere una buona cicatrizzazione. Non solo, se il paziente è relativamente giovane è bene fare un attento bilancio rischi/benefici».
PROTESI - Oggi sono disponibili numerose protesi di caviglia la cui scelta dipende dalle valutazioni personali e dall’esperienza di ogni chirurgo. Quelle di ultima generazione sono formate da 3 componenti non vincolati fra loro e riproducono la normale biomeccanica della caviglia. «L’intervento è poco invasivo, l’accesso chirurgico è diretto (anteriore), la durata è di 1-2 ore e viene eseguito generalmente con una anestesia periferica. L’operazione non comporta generalmente dolore e la degenza è mediamente di due giorni. Dopo l’intervento il paziente deve indossare un tutore a stivaletto e camminare con stampelle per 6 settimane iniziando a caricare già dopo 10 giorni dall’intervento. Il recupero completo si verifica nell’arco 2-3 mesi durante i quali si procede a una progressiva rieducazione funzionale (piscina, cyclette, ginnastica e rieducazione del cammino). Negli ultimi anni questo tipo di chirurgia, grazie al miglioramento delle tecniche e delle protesi, ha permesso di ottenere risultati molto soddisfacenti e spesso eccellenti. Ma perché l’intervento abbia successo è fondamentale affidarsi a specialisti esperti in grado di individuare i migliori candidati. Non solo anche il paziente deve collaborare: la protesi ha una vita tanto più lunga tanto meglio viene trattata» conclude Farnetti.
Antonella Sparvoli
23 febbraio 2011(ultima modifica: 24 febbraio 2011)
DA CORRIERE DELLA SERA - SALUTE
CAVIGLIA, PROTESI
CAVIGLIA, PROTESI

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Nonnalory
Una cosa alla volta un giorno dopo l'altro
Sono nata cieca. A volte sono triste, ma poi penso ai ragazzi meno fortunati di me, quelli che mi prendono in giro. A loro è andata peggio. Sono nati senza cuore.
Cecilia Camellini (Campionessa olimpica alle paralimpiadi 2012)
A noi la malattia ci fa un baffo!
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Tutto inizia nel 1975 con lombosciatalgia bilaterale e curata come tale, senza alcun risultato, per 12 anni. Nel 1987 diagnosi di Sacroileite alla quale nel 2007 si è aggiunta una Pancolite (infiammazione cronica dell'intestino), da metà dicembre 2007 diagnosi di spondiloartrite (ogni tanto cambia il nome della malattia, quello definitivo pare essere enteroartrite) farmaci: balzide per l'intestino, azatioprina, e, al bisogno, cortisone e indometacina per l'artrite. Ad aprile 2010 intervento di artroprotesi 4° dito mano dx.
Da novembre 2014 problemi di calo linfociti con conseguente sospensione di azatioprina. Da meta' marzo 2015 iniziato metotrexate che pero' ho dovuto sospendere dopo due mesi per sopraggiunti effetti collaterali. Nel 2015 diagnosi di gastrite cronica sempre causata dai problemi autoimmuni. Da novembre 2016 ripreso azatioprina e si e' aggiunta la psoriasi. A conti fatti la diagnosi attuale sembra essere artrite psorisiaca con infiammazione intestinale e gastrite tutto riconducibile ad autoimmunita'
Amicizia è la capacità di dare senza chiedere nulla.E' la spalla su cui piangere, è una mano che stringe la tua e ti consola.E' anche la capacità di ascoltare i silenzi, grazie per aver ascoltato i miei