I FARMACI BIOLOGICI CHE POSSONO SALVARE IL LAVORO
Inviato: 22/06/2010, 7:59
I farmaci biologici
che possono salvare il lavoro
La qualità della vita di un malato cronico non dipende solo dal dolore o dalla disabilità. E si propone un nuovo criterio di valutazione per i trattamenti
MILANO - In tempi come questi non conviene avere un fattore in più che mette in pericolo il posto di lavoro. E i malati reumatici, a causa della loro progressiva disabilità, possono essere tra le categorie più a rischio in caso di ristrutturazioni. L’idea di un gruppo di ricercatori dell’Università di Leeds, in Gran Bretagna, è quindi che l’efficacia di un medicinale non vada misurata solo per quanto controlla il dolore, rallenta o arresta la progressione della malattia, ma anche per quanto permette di tenersi stretta la propria occupazione.
LA SCALA - Già qualche anno fa studiosi dello stesso ateneo avevano messo a punto una scala per quantificare quanto rischiasse di restare disoccupato un malato di artrite reumatoide; l’anno scorso avevano presentato uno strumento analogo, la Ankylosing Spondylitis Work Instability Scale, per chi soffre di spondilite anchilosante, una malattia reumatica abbastanza comune, caratterizzata da una lombalgia che in maniera caratteristica disturba il sonno e si allevia, almeno nelle prime fasi, con il movimento. In entrambi i casi si tratta di semplici questionari a cui il malato deve rispondere. Da tempo Gill Gilworth e Alan Tennant, del Psychometric Laboratory for Health Sciences dell’università britannica, si occupano di misurare la qualità della vita di vari tipi di malati cronici, con un occhio di particolare riguardo al mondo del lavoro. «La precarietà occupazionale in questi casi dipende dall’incompatibilità tra le esigenze richieste dalla propria professione e le crescenti difficoltà del malato» spiega Tennant. «Tenendola controllata è possibile intervenire prima che sia troppo tardi».
IL FARMACO - Un medicinale che provoca un rapido miglioramento nella spondilite anchilosante, come in altre patologie autoimmuni, è l’etanercept, appartenente alla famiglia dei nuovi farmaci chiamati biologici. L’etanercept blocca i processi infiammatori interagendo con una sostanza per essi fondamentale, il fattore di necrosi tumorale alfa, meglio noto con la sigla TNF: è molto efficace, ma non privo di possibili effetti collaterali, soprattutto perché abbassa in maniera consistente le difese immunitarie. Per questo i pro e i contro del suo uso vanno ben soppesati in ogni caso. Secondo Paul Emery, dell’Academic Unit of Musculoskeletal Disease dell’Università di Leeds, il rischio di perdere il lavoro potrebbe essere un fattore che dovrebbe far pendere la bilancia a favore dell’uso del farmaco.
LO STUDIO - «Abbiamo coinvolto nello studio pubblicato sugli Annals of Rheumatic Diseases una quarantina di malati di spondilite anchilosante in fase attiva in cui la scala aveva registrato una certa precarietà professionale» spiega Emery, che ha coordinato la ricerca. «Poi li abbiamo divisi in due gruppi: a metà è stato dato l’etanercept due volte la settimana per tre mesi, mentre l’altra metà, senza saperlo, riceveva un placebo». Il punteggio sulla scala dell’instabilità lavorativa è migliorato di quasi tre punti nei malati che ricevevano il farmaco, mentre è leggermente peggiorato negli altri. «In pratica, il rischio di perdere il lavoro è sceso in più della metà dei pazienti trattati ed è aumentato nel 15 per cento in quelli che ricevevano il placebo».
Roberta Villa
11 giugno 2010
DA "CORRIERE DELLA SERA - SALUTE"
che possono salvare il lavoro
La qualità della vita di un malato cronico non dipende solo dal dolore o dalla disabilità. E si propone un nuovo criterio di valutazione per i trattamenti
MILANO - In tempi come questi non conviene avere un fattore in più che mette in pericolo il posto di lavoro. E i malati reumatici, a causa della loro progressiva disabilità, possono essere tra le categorie più a rischio in caso di ristrutturazioni. L’idea di un gruppo di ricercatori dell’Università di Leeds, in Gran Bretagna, è quindi che l’efficacia di un medicinale non vada misurata solo per quanto controlla il dolore, rallenta o arresta la progressione della malattia, ma anche per quanto permette di tenersi stretta la propria occupazione.
LA SCALA - Già qualche anno fa studiosi dello stesso ateneo avevano messo a punto una scala per quantificare quanto rischiasse di restare disoccupato un malato di artrite reumatoide; l’anno scorso avevano presentato uno strumento analogo, la Ankylosing Spondylitis Work Instability Scale, per chi soffre di spondilite anchilosante, una malattia reumatica abbastanza comune, caratterizzata da una lombalgia che in maniera caratteristica disturba il sonno e si allevia, almeno nelle prime fasi, con il movimento. In entrambi i casi si tratta di semplici questionari a cui il malato deve rispondere. Da tempo Gill Gilworth e Alan Tennant, del Psychometric Laboratory for Health Sciences dell’università britannica, si occupano di misurare la qualità della vita di vari tipi di malati cronici, con un occhio di particolare riguardo al mondo del lavoro. «La precarietà occupazionale in questi casi dipende dall’incompatibilità tra le esigenze richieste dalla propria professione e le crescenti difficoltà del malato» spiega Tennant. «Tenendola controllata è possibile intervenire prima che sia troppo tardi».
IL FARMACO - Un medicinale che provoca un rapido miglioramento nella spondilite anchilosante, come in altre patologie autoimmuni, è l’etanercept, appartenente alla famiglia dei nuovi farmaci chiamati biologici. L’etanercept blocca i processi infiammatori interagendo con una sostanza per essi fondamentale, il fattore di necrosi tumorale alfa, meglio noto con la sigla TNF: è molto efficace, ma non privo di possibili effetti collaterali, soprattutto perché abbassa in maniera consistente le difese immunitarie. Per questo i pro e i contro del suo uso vanno ben soppesati in ogni caso. Secondo Paul Emery, dell’Academic Unit of Musculoskeletal Disease dell’Università di Leeds, il rischio di perdere il lavoro potrebbe essere un fattore che dovrebbe far pendere la bilancia a favore dell’uso del farmaco.
LO STUDIO - «Abbiamo coinvolto nello studio pubblicato sugli Annals of Rheumatic Diseases una quarantina di malati di spondilite anchilosante in fase attiva in cui la scala aveva registrato una certa precarietà professionale» spiega Emery, che ha coordinato la ricerca. «Poi li abbiamo divisi in due gruppi: a metà è stato dato l’etanercept due volte la settimana per tre mesi, mentre l’altra metà, senza saperlo, riceveva un placebo». Il punteggio sulla scala dell’instabilità lavorativa è migliorato di quasi tre punti nei malati che ricevevano il farmaco, mentre è leggermente peggiorato negli altri. «In pratica, il rischio di perdere il lavoro è sceso in più della metà dei pazienti trattati ed è aumentato nel 15 per cento in quelli che ricevevano il placebo».
Roberta Villa
11 giugno 2010
DA "CORRIERE DELLA SERA - SALUTE"