Informazioni sui farmaci - 09/03/2010
Terapia corticosteroidea cronica
Come sospenderla senza rischi
La sindrome da sospensione ("steroid withdrawal syndrome")
L'insufficienza corticosurrenalica
I fattori favorenti la soppressione dell'asse HPA
Come ridurre il rischio di soppressione dell'HPA
Come prevenire l'insufficienza corticosurrenalica
Conclusioni
Bibliografia
Introduzione
I corticosteroidi sono farmaci largamente utilizzati, con indicazioni che nel tempo si sono estese alle patologie più varie. Nella maggior parte dei casi, il trattamento avviene per via sistemica (in genere per via orale) e può protrarsi per settimane, mesi o addirittura anni: basti pensare all'impiego in patologie croniche quali l'artrite reumatoide, alcune connettiviti, l'asma bronchiale, le malattie infiammatorie croniche intestinali o i trapianti. L'uso cronico di corticosteroidi comporta, però, quasi inevitabilmente, la comparsa di effetti indesiderati anche gravi (Tabella 1) e richiede una attenta valutazione del rapporto beneficio/rischio, tenendo presente che per alcuni degli effetti indesiderati non sono disponibili interventi preventivi o terapeutici. A suggerire un impiego parsimonioso e prudente dei corticosteroidi non sono solo queste considerazioni, ma anche il fatto che la sospensione di una terapia corticosteroidea cronica può anch'essa comportare dei rischi per il paziente. Delle tre possibili evenienze legate alla interruzione di un trattamento corticosteroideo, nell'articolo verranno prese in considerazione la sindrome da sospensione e l'iposurrenalismo1,2.
Tabella 1. Effetti indesiderati più frequenti legati all'impiego cronico sistemico
dei corticosteroidi
Miopatia steroidea
Osteoporosi
Aumentata suscettibilità alle infezioni
Ritenzione idrosalina
Cataratta Glaucoma
Ipercorticismo
Psicosi
Atrofia della cute
Alterazioni metaboliche (iperglicemia)
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La sindrome da sospensione ("steroid withdrawal syndrome")
La sindrome da sospensione è caratterizzata dalla comparsa di un corteo sintomatologico, aspecifico e insieme complesso, nel momento in cui si interrompe un trattamento corticosteroideo ad alte dosi. Ciò accade più spesso quando l'interruzione è avvenuta bruscamente, ma può anche verificarsi in seguito ad una riduzione graduale della dose del corticosteroide.
I sintomi e i segni più frequenti sono rappresentati da anoressia, nausea, vomito, astenia profonda, artromialgie, cefalea, calo ponderale, depressione, letargia. Il quadro clinico è simile a quello di una insufficienza corticosurrenalica acuta, ma non vi è un deficit dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA): i livelli di cortisolo risultano infatti normali anche se tendenti ad una rapida variazione verso i valori più bassi e i test di funzionalità dell'HPA (Tabella 2) non mostrano alcuna anomalia (diagnosi differenziale). La sindrome non ha una patogenesi chiara, anche se sembra associata alla presenza di elevati livelli plasmatici di interleukina 6 e probabilmente non costituisce un fattore predisponente ad una insufficienza corticosurrenalica.
Nel controllo di alcuni sintomi, i FANS potrebbero essere utili, ma in pazienti sottoposti a terapia corticosteroidea cronica comportano un maggior rischio di complicanze gastrointestinali3-5. Ovviamente, nel paziente sintomatico, la sindrome si risolve riprendendo la terapia interrotta.
Tabella 2. Test laboratoristici utilizzabili nella diagnosi di insufficienza corticosurrenalica
secondaria a sospensione della terapia corticosteroidea
Dosaggio del cortisolo plasmatico
Test di stimolazione breve con ACTH (250mg)
Test dell'ipoglicemia indotta dall'insulina
Test del metirapone
Test di stimolazione con il CRH (corticotropin-releasing-hormone)
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L'insufficienza corticosurrenalica
La soppressione dell'HPA costituisce uno degli effetti indesiderati più conosciuti di una somministrazione cronica di corticosteroidi per via sistemica a dosi superiori a quelle fisiologiche. Questa evenienza può rendere il surrene incapace di produrre quantità adeguate di cortisolo al momento della sospensione del trattamento (iposurrenalismo secondario). Pur trattandosi di una complicanza nota, se si escludono i casi clinicamente sintomatici, viene spesso sottovalutata e non diagnosticata.
Poiché l'insufficienza cortisurrenalica secondaria può far precipitare una grave crisi iposurrenalica acuta in caso di stress esogeno (traumi, malattie, interventi chirurgici), è importante riuscire ad identificare i pazienti asintomatici. In questi pazienti, infatti, una integrazione corticosteroidea, prima o nella fase iniziale dello stress, può prevenire la crisi iposurrenalica.
La patogenesi della insufficienza surrenalica secondaria alla terapia corticosteroidea è complessa, variabile da paziente a paziente e non del tutto chiarita, specie nei suoi fattori predisponenti. Un trattamento corticosteroideo cronico a dosaggio sovrafisiologico può infatti avere tre possibili conseguenze :
1. non aver alcun effetto negativo sull'asse HPA;
2. causare una soppressione centrale dell'asse HPA;
3. causare una atrofia funzionale completa del surrene.
Purtroppo, i sintomi e i segni dell'insufficienza surrenalica sono aspecifici (Tabella 3) e perciò la conferma della diagnosi richiede l'effettuazione dei test di laboratorio citati, volti ad esplorare la funzionalità surrenalica. Di tutti quelli disponibili, solo il test di stimolazione con ACTH trova applicazione pratica, essendo relativamente semplice da eseguire. Il test si basa sulla misurazione delle concentrazioni di cortisolo plasmatico prima e dopo 30-60 minuti dalla iniezione di 250mg di un analogo sintetico dell'ACTH: valori di cortisolo di 20 mg/dl o più indicano una normale funzionalità del surrene. Il test, però, non è in grado di diagnosticare i pur rari casi di insufficienza corticosurrenalica dovuta a una soppressione dell'asse centrale HPA. In questi casi risulterebbe necessario ricorrere ad uno degli altri test elencati che valutano l'integrità di tutto l'HPA (es. CRH).
Tabella 3. Segni e sintomi suggestivi di iposurrenalismo in pazienti "critici"
Instabilità circolatoria
Discrepanza tra gravità della malattia e stato clinico del paziente che presenta:
nausea
ipotensione ortostatica
disidratazione
dolore lombare o addominale
perdita di peso
Febbre di origine sconosciuta
Apatia, depressione non correlate a malattie psichiatriche
Alterata pigmentazione, perdita peli ascellari e pube.
Ipotiroidismo ipogonadismo
Ipoglicemia, iponatremia, iperkaliemia.
Neutropenia, eosinofilia
Nella pratica clinica, di fatto, questi test specifici non vengono eseguiti, se non raramente, nei pazienti candidati alla sospensione di un trattamento corticosteroideo cronico. Tra i motivi, numerosi, due rivestono una importanza decisiva. Il primo è che questi test risultano relativamente indaginosi, hanno un costo non trascurabile e/o la risposta al test all'ACTH può richiedere la conferma da un altro test diagnostico. Il secondo motivo va individuato nel fatto che la pratica di ridurre gradualmente la dose dei corticosteroidi somministrati cronicamente a dosi sovrafisiologiche per via sistemica al fine di prevenire la comparsa di una insufficienza corticosurrenalica è diventata patrimonio culturale di gran parte dei medici. Ciò fa sì che il medico non ritenga necessario ricorrere all'esecuzione di test laboratoristici che giudica inutili. E' questo atteggiamento condivisibile?
La risposta a questo interrogativo si basa sulla conoscenza (e sui limiti della stessa) che abbiamo dei fattori che possono predisporre alla comparsa di una insufficienza corticosurrenalica nei pazienti che interrompono una terapia corticosteroidea.
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I fattori favorenti la soppressione dell'asse HPA
I fattori favorenti la soppressione dell'asse HPA sono molteplici e la loro conoscenza consente di scongiurare i possibili rischi legati a questa eventualità.
Il tipo di corticosteroide impiegato
I vari composti differiscono per caratteristiche biologiche e d'impiego; la potenza e l'emivita biologica del singolo farmaco si correlano con la capacità di indurre una soppressione dell'HPA. Tanto più lunga è l'emivita biologica tanto più protratta sarà la soppressione dell'ACTH dopo una singola dose (Tabella 4). L'impiego di dosi multiple (come avviene nella stragrande maggioranza delle terapie) ad un intervallo tra le dosi più breve del tempo necessario per il recupero della piena efficienza da parte dell'HPA, comporta un maggior rischio di soppressione dell'asse stesso. Nella pratica, la minore capacità soppressiva e la più breve emivita dei corticosteroidi naturali (idrocortisone e cortisone acetato) non possono essere sfruttate poiché si tende a dare la preferenza agli analoghi sintetici (prednisone e altri), anche se dotati di una potenza maggiore e di una emivita più lunga in virtù della loro migliore tollerabilità come antiinfiammatori (causano minori effetti sodioritentivi). Per consentire che tra una somministrazione e l'altra vi possa essere un periodo di tempo sufficiente per il ripristino funzionale dell'HPA, si è pensato di allungare gli intervalli tra le dosi di composti a emivita intermedia. Queste considerazioni sono alla base del suggerimento di utilizzare, ove possibile, a giorni alterni, i composti a potenza ed emivita biologica intermedie (prednisone e analoghi). Purtroppo, però, non tutte le patologie che richiedono un corticosteroide possono essere trattate con uno schema a giorni alterni in quanto il processo infammatorio si riacutizza nel giorno di vacanza terapeutica (es. artrite reumatoide, colite ulcerativa). Inoltre, la somministrazione a giorni alterni può avere un minore effetto soppressivo sull'HPA solo se viene utilizzata sin dall'inizio, comunque prima che si verifichi l'inibizione dell'HPA. Nel caso in cui la soppressione sia già avvenuta, il passaggio allo schema a giorni alterni non è in grado di garantire reali vantaggi.
Tabella 4. Caratteristiche dei corticosteroidi utilizzati per via sistemica
FARMACO POTENZA SOPPRESSIVA SULL'ASSE HPA EMIVITA BIOLOGICA (ORE) POTENZA ANTIINFIAM. RELATIVA DOSE SOSTITUTIVA EQUIVALENTE
(mg/die, paz. adulto)
Idrocortisone + - - 18-12 1 20
Cortisone acetato + - - 18-12 0,8 25
Prednisone
(Deltacortene)
+ + -
18-36 4 5
Prednisolone
(Meticortelone, Soludacortin)
+ + -
18-36
4 5
Metilprednisolone
(Medrol, Solu-Medrol, Urbason)
+ + - 18-36
5 4
Triamcinolone
(LedercortP8, Kenacort A Retard)
+ + -
18-36
5
4
Desametasone
(Decadron, Soldesam)
+ + +
36-54
25
0,75
Betametasone
(Bentelan, Celestone)
+ + +
36-54
25
0,75
L'orario di somministrazione
La produzione di cortisolo endogeno raggiunge il massimo al mattino presto per declinare progressivamente sino a sera: la somministrazione serale di un corticosteroide sopprimerebbe perciò il normale ciclo circadiano dell'ACTH. Per questo motivo, laddove possibile, l'assunzione va fatta in dose unica al mattino. Lo schema di trattamento in dose unica non è però praticabile con i composti ad emivita breve (idrocortisone, cortisone) che andranno assunti in due somministrazioni distinte: 2/3 della dose alla mattina e 1/3 nel pomeriggio (ore 17) per mimare la normale secrezione surrenalica.
La via di somministrazione
Sia la somministrazione orale che quella parenterale sono in grado di sopprimere la funzione dell'HPA. Con l'uso topico, invece, tale rischio è invece assai meno frequente, perlomeno con le modalità di utilizzo più comuni. L'impiego dei corticosteroidi per via inalatoria, intrarticolare e cutanea viene generalmente considerato a "basso rischio" e risulta di prima scelta in molte affezioni (es. asma, malattie infiammatoria croniche intestinali, alcune artriti).
La durata del trattamento e la dose cumulativa
La durata del trattamento e la dose cumulativa vengono ritenuti due dei fattori di rischio più affidabili per predire l'inibizione della funzione dell'HPA. Anche se i dati epidemiologici disponibili sono scarsi e non conclusivi6-8,23,24, nella maggioranza dei pazienti questi due criteri sono probabilmente affidabili. Un dato certo è che in alcuni pazienti, dosi di 30mg/die di prednisone o equivalenti, protratte per più di 10 giorni, sono già in grado di manifestare un effetto soppressivo sulle funzioni dell'HPA, anche se breve durata. Dal punto di vista pratico va considerato "a rischio" un trattamento con dosi di prednisone superiori ai 5 mg/die (o dosi equivalenti di analoghi) sufficientemente protratte nel tempo, tenendo conto che i tempi di "recupero" dell'HPA alla sospensione del trattamento possono variare da individuo a individuo e richiedere da settimane a mesi.
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Come ridurre il rischio di soppressione dell'HPA
Sulla base di quanto detto, nel singolo paziente risulta difficile prevedere con certezza, con la sola anamnesi farmacologica, l'esistenza o meno di una soppressione dell'HPA; ciononostante, vi sono alcune strategie di comportamento che possono ridurre questo rischio:
1 Utilizzare i corticosteroidi per via sistemica solo in presenza di indicazioni ben documentate. Spesso, infatti, il ricorso ai corticosteroidi risulta ingiustificato, o il loro impiego per via sistemica potrebbe essere sostituito da quello per via topica (es. asma, malattie infiammatorie croniche intestinali).
2 Dare la preferenza ad uno degli analoghi a media durata d'azione (prednisone e analoghi)
3 Utilizzare la dose minima efficace per la durata più breve possibile, somministrando il farmaco in unica dose al mattino o, ove possibile, a giorni alterni.
4 Sospendere il trattamento seguendo alcune norme di prudenza che di seguito vengono illustrate.
Come procedere alla sospensione di un trattamento corticosteroideo
Anche in questo caso non esistono dati sicuri, derivanti da studi ad hoc, ma solo opinioni di esperti e una prassi terapeutica consolidata dalla tradizione11. Quando si ritiene che la malattia per la quale il paziente assume corticosteroidi a dosi sovrafisiologiche sia sotto controllo, si procede alla progressiva riduzione delle dosi, prestando particolare attenzione alla possibile riacutizzazione della malattia stessa e alla comparsa di una insufficienza corticosurrenalica secondaria o di una sindrome da sospensione all'interruzione del trattamento. Ciò in genere si ottiene riducendo la dose di prednisone (o equivalenti) di 2,5-5 mg ogni 7-15 giorni. Se si verifica una riacutizzazione dei sintomi della malattia di base si deve ripristinare il dosaggio minimo efficace e ridurre la dose con maggiore gradualità. La velocità di riduzione della posologia, di fatto, è subordinata alla possibilità di mantenere sotto controllo la malattia di base man mano che si procede alla riduzione dello steroide. La riduzione del dosaggio può essere fatta in modo più rapido se il paziente è già in trattamento con uno schema a giorni alterni. La scelta suggerita da alcuni di passare da un dosaggio giornaliero ad uno a giorni alterni al fine di ridurre la durata dell'inibizione dell'HPA, non trova consensi unanimi. Ove possibile, lo schema a giorni alterni dovrebbe essere utilizzato "ab initio" per risparmiare la funzionalità dell'HPA. Una volta raggiunto il dosaggio di 5mg/die di prednisone (o analoghi) corrispondente al fabbisogno giornaliero, si possono seguire due vie: si continua a ridurre la dose di prednisone di 1mg/mese sino alla sospensione definitiva oppure al posto del prednisone si somministra una dose equipotente di cortisone acetato o di idrocortisone (15 mg al mattino e 5 mg il pomeriggio, utilizzando le fiale, opportunamente diluite, per via orale). In quest'ultimo caso si procede poi ad una riduzione di 2,5 mg/settimana sino ad arrivare ad una dose giornaliera di soli 10 mg di idrocortisone, dose che va mantenuta sino a completa normalizzazione dell'asse HPA (valutata tramite test all'ACTH o CRH) che può richiedere tempi variabili, tanto più lunghi quanto più protratta è stata la terapia utilizzata.
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Come prevenire l'insufficienza corticosurrenalica
Nei pazienti nei quali il trattamento è stato interrotto si possono verificare tre evenienze diverse:
1 la terapia non ha indotto una soppressione della funzione dell'HPA o detta funzione è stata recuperata nel tempo anche grazie alla riduzione graduale della dose.
2 la funzione dell'HPA risulta compromessa ma il paziente è asintomatico;
3 il paziente manifesta sintomi da sospensione (sindrome da sospensione) o da insufficienza corticosurrenalica secondaria.
Nel primo caso, ovviamente, non vi sono precauzioni da prendere o da suggerire al paziente.
Nella seconda evenienza, per le considerazioni fatte all'inizio, risulta difficile individuare i pazienti asintomatici a rischio di sviluppare una crisi surrenalica in caso di stress. Se devono affrontare uno stress prevedibile, è consigliabile adottare una strategia preventiva in tutti i pazienti che escono da un trattamento corticosteroideo protratto per via sistemica a dosi medio-alte da non più di 6-9 mesi. La dose può variare a seconda dell'entità dello stress: può andare da 25 mg/die di idrocortisone (o equivalenti) per un intervento chirurgico minore (es. ernia) a 100-150 mg/die per un intervento maggiore (es. cardiochirugico). In questi casi l'idrocortisone (o equivalenti) va somministrato in dosi refratte, o meglio, in infusione endovenosa continua. Nel caso in cui il paziente dovesse manifestare una sindrome da sospensione dovuta alla brusca interruzione di alte dosi di steroidi (terza evenienza), come già illustrato in precedenza, andrà subito reinstaurata la terapia corticosteroidea che si era interrotta bruscamente. Se la riduzione del dosaggio degli steroidi è avvenuta in modo graduale, in assenza di stress, è raro che si sviluppi una insufficienza corticosurrenalica vera e propria. La somministrazione della dose di steroide che manteneva il paziente asintomatico sarà in grado di ripristinare una condizione di normalità.
Non v'è alcuna dimostrazione che il trattamento con ACTH serva in alcun modo ad accelerare il recupero funzionale dell'HPA. Il suo impiego a tal fine non è perciò giustificato.
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Conclusioni
La scelta di utilizzare un trattamento corticosteroideo deve tenere in considerazione anche i rischi connessi alla sua sospensione. Detti rischi sono maggiori per alcuni composti e per alcune modalità terapeutiche, anche se nel complesso sembrano relativamente poco frequenti. Non è chiaro se ciò sia dovuto alla scarsa conoscenza dell'epidemiologia della soppressione dell'HPA che più spesso decorre asintomatica o se invece sia da ascrivere alla prassi ormai diffusa di procedere in ogni caso ad una riduzione graduale delle dosi di corticosteroidi sistemici, consentendo così un recupero della sua funzione. Va ribadito, comunque, il concetto che il trattamento corticosteroideo per via sistemica inibisce l'attività dell'HPA e che al momento della sua sospensione può indurre una insufficienza corticosurrenalica ove concomitino situazioni di stress adeguato. Ciò richiede l'impiego di un trattamento profilattico sostitutivo anche a distanza di mesi dalla interruzione della terapia corticosteroidea. La scelta dei pazienti da sottoporre a integrazione corticosteroidea dovrebbe basarsi sulla esplorazione funzionale dell'HPA tramite test adeguati. In assenza di tale dato, è più prudente eccedere nel trattamento preventivo, dai costi e rischi modesti, piuttosto che far correre al paziente un rischio potenzialmente più grave quale una crisi iposurrenalica acuta.
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Bibliografia
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Informazioni sui farmaci Anno 2000, n. 1
Albano Del Favero
Terapia corticosteroidea cronica come sospenderla
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