Un racconto di Vincenzo(Ex_Ex): La stanza
Inviato: 03/08/2009, 11:29
inserisco un altro breve racconto scritto un po' di tempo fa anche questo per il concorso Parole in Corsa e non pubblicato.
SPOILER
non è ironico come Il Naso, un po' triste ma niente di tragico, parla di malattia ma è la malattia dell'anima, quella che si prova quando finisce un amore.
LA STANZA
Era la stanza dove tutto cominciò e dove tutto sarebbe finito. Come sempre, la storia si ripete. La conobbi per motivi di lavoro un giorno piovoso di ottobre e sentimmo di essere attratti l’uno dall’altra, ma non ci furono passi in tal senso e ci lasciammo con l’accordo di sentirci a breve per passare una giornata a chiacchierare: e così fu, ma dal chiacchierare finimmo nel letto e la stanza cominciò ad assorbire nelle sue pareti e nel suo arredamento tutte le energie che si liberavano dai nostri corpi, era diventato un grosso polmone.
Così cominciò un’altra storia da vivere giorno per giorno in attesa della sua inevitabile fine: perché niente è “per sempre”, è solo questione di tempo. La vita di tutti i giorni ti prende nella sua spirale, negli ingranaggi che non si fermano mai, ti fagocita, ti metabolizza e, quando è soddisfatta, ti sputa via come un boccone amaro. La stanza dove tutto è cominciato e che in silenzio ha osservato ed ascoltato tutti i momenti belli - quelli iniziali - già sa tutto, conosce già l’epilogo perché le sue pareti erano là prima di te ed hanno potuto “osservare” altre storie. Ha una memoria delle gioie e dei dolori, ma non ti avverte, non ti manda segnali premonitori, resta impassibile e tu continui a vivere la tua storia cercando in quell’ambiente positività, convincendoti che solo lì dentro le cose possono andare per il verso giusto. Lì dentro tutto funziona come un orologio, fuori va tutto male, la realtà quotidiana sporca tutto, deteriora, erode lentamente, come una goccia d’acqua, sentimenti e passioni.
La stanza diventa allora il rifugio, la tana, il buco, la protezione, il posto dove ritrovare se stessi quando tutto va storto, dove cercare illusioni e vane speranze, effimere felicità, amore. Come in una profezia di Nostradamus, dopo un po’, tutto cominciò a diventare più difficile, più complicato: lei manifestava ogni giorno insofferenza e disagio, le portava dal mondo esterno e nella stanza mettevano radici, diventavano contagiose, come un virus: il “polmone” assorbiva e l’aria diventava sempre più irrespirabile. Energie negative che cominciarono ad attaccare il tavolo, le sedie, il divano e che venivano ritrasmesse quando mi sedevo. Cominciai a respirare male, a fatica; quando lei rientrava non la guardavo più con gli stessi occhi, ma in modo interrogativo, cercavo di capire chi fosse o chi fosse diventata. Lei faceva lo stesso. Quegli stessi sguardi che prima si incrociavano e sostenevano cominciarono ad essere sfuggenti e diffidenti, le parole non erano più d’amore, ma frustate, facevano male: le parole possono essere più dolorose di una spada che ti trafigge ed ogni giorno le cose peggiorano fino a non parlarsi più, bastano gli sguardi, la presenza è già un fastidio, cerchi un rifugio, un’altra stanza, ma come nei vasi comunicanti attraverso i muri tutto si diffonde e nessun luogo è più sicuro e ti dà pace. Andò così per circa un anno – è sorprendente la capacità che ha l’essere umano di immagazzinare dolori e disagi – poi una sera trovai le sue valigie davanti alla porta, nella stanza, mi disse, mentre piangevo, “ci rivedremo, ti chiamerò” e già sapevo che non sarebbe successo.
La notte fu insonne, passata a ricordare e cercare di trovare il modo per riempire, dal giorno dopo, il vuoto; tutto nella stanza ricordava qualcosa di lei, mi era divenuta ostile, i muri mi opprimevano e si stringevano sempre di più intorno a me. Con il passare dei giorni e poi delle settimane diventò sempre più difficile rientrare in casa fin quando decisi di cambiare abitazione. Un’altra stanza in un altro posto, per ricominciare.
Perché non si impara mai dal dolore.
SPOILER
non è ironico come Il Naso, un po' triste ma niente di tragico, parla di malattia ma è la malattia dell'anima, quella che si prova quando finisce un amore.
LA STANZA
Era la stanza dove tutto cominciò e dove tutto sarebbe finito. Come sempre, la storia si ripete. La conobbi per motivi di lavoro un giorno piovoso di ottobre e sentimmo di essere attratti l’uno dall’altra, ma non ci furono passi in tal senso e ci lasciammo con l’accordo di sentirci a breve per passare una giornata a chiacchierare: e così fu, ma dal chiacchierare finimmo nel letto e la stanza cominciò ad assorbire nelle sue pareti e nel suo arredamento tutte le energie che si liberavano dai nostri corpi, era diventato un grosso polmone.
Così cominciò un’altra storia da vivere giorno per giorno in attesa della sua inevitabile fine: perché niente è “per sempre”, è solo questione di tempo. La vita di tutti i giorni ti prende nella sua spirale, negli ingranaggi che non si fermano mai, ti fagocita, ti metabolizza e, quando è soddisfatta, ti sputa via come un boccone amaro. La stanza dove tutto è cominciato e che in silenzio ha osservato ed ascoltato tutti i momenti belli - quelli iniziali - già sa tutto, conosce già l’epilogo perché le sue pareti erano là prima di te ed hanno potuto “osservare” altre storie. Ha una memoria delle gioie e dei dolori, ma non ti avverte, non ti manda segnali premonitori, resta impassibile e tu continui a vivere la tua storia cercando in quell’ambiente positività, convincendoti che solo lì dentro le cose possono andare per il verso giusto. Lì dentro tutto funziona come un orologio, fuori va tutto male, la realtà quotidiana sporca tutto, deteriora, erode lentamente, come una goccia d’acqua, sentimenti e passioni.
La stanza diventa allora il rifugio, la tana, il buco, la protezione, il posto dove ritrovare se stessi quando tutto va storto, dove cercare illusioni e vane speranze, effimere felicità, amore. Come in una profezia di Nostradamus, dopo un po’, tutto cominciò a diventare più difficile, più complicato: lei manifestava ogni giorno insofferenza e disagio, le portava dal mondo esterno e nella stanza mettevano radici, diventavano contagiose, come un virus: il “polmone” assorbiva e l’aria diventava sempre più irrespirabile. Energie negative che cominciarono ad attaccare il tavolo, le sedie, il divano e che venivano ritrasmesse quando mi sedevo. Cominciai a respirare male, a fatica; quando lei rientrava non la guardavo più con gli stessi occhi, ma in modo interrogativo, cercavo di capire chi fosse o chi fosse diventata. Lei faceva lo stesso. Quegli stessi sguardi che prima si incrociavano e sostenevano cominciarono ad essere sfuggenti e diffidenti, le parole non erano più d’amore, ma frustate, facevano male: le parole possono essere più dolorose di una spada che ti trafigge ed ogni giorno le cose peggiorano fino a non parlarsi più, bastano gli sguardi, la presenza è già un fastidio, cerchi un rifugio, un’altra stanza, ma come nei vasi comunicanti attraverso i muri tutto si diffonde e nessun luogo è più sicuro e ti dà pace. Andò così per circa un anno – è sorprendente la capacità che ha l’essere umano di immagazzinare dolori e disagi – poi una sera trovai le sue valigie davanti alla porta, nella stanza, mi disse, mentre piangevo, “ci rivedremo, ti chiamerò” e già sapevo che non sarebbe successo.
La notte fu insonne, passata a ricordare e cercare di trovare il modo per riempire, dal giorno dopo, il vuoto; tutto nella stanza ricordava qualcosa di lei, mi era divenuta ostile, i muri mi opprimevano e si stringevano sempre di più intorno a me. Con il passare dei giorni e poi delle settimane diventò sempre più difficile rientrare in casa fin quando decisi di cambiare abitazione. Un’altra stanza in un altro posto, per ricominciare.
Perché non si impara mai dal dolore.