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UVEITI - RICHIESTA CENTRI SPECIALIZZATI REGIONALI

Inviato: 26/06/2017, 17:50
da lorichi
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Uveiti: serve un centro specialistico in ogni regione
Un congresso a Reggio Emilia fa il punto sulle uveiti, malattie infiammatorie degli occhi che possono portare a cecità se non diagnosticate e curate per tempo. E per farlo servono centri specializzati in ogni regione, ribadiscono gli esperti riuniti a congresso

di ANNA LISA BONFRANCESCHI

Uveiti: serve un centro specialistico in ogni regione
ANNEBBIAMENTO, lampi di luce, arrossamento. E ancora dolore, fotofobia, la sensazione di mosche volanti, lacrimazione. La lista dei sintomi con cui può comparire l'uveite, una malattia infiammatoria dell'occhio, è folta. Eppure non sempre è facile individuarla, tanto che, in media, passano almeno quattro anni dalla comparsa dei sintomi alla diagnosi. Anni in cui l'infezione è galoppata, facendo danno agli occhi e alla vista, e portando, nel peggiore dei casi, a cecità. Trattare invece le uveiti è possibile, ma prima bisogna imparare a conoscerle e riconoscerle. E per conoscerle serve puntare prima di tutto sulla formazione dei medici oculisti e sulla presenza di almeno un centro specializzato per il trattamento delle uveiti in ogni regione. È questo l'appello che arriva dagli specialisti riuniti a Reggio Emilia il 7 e l'8 aprile per l'XI Congresso nazionale della SIUMIO, la Società Italiana Uveiti e Malattie Infiammatorie Oculari.

Quanti casi? “Le uveiti sono causa di almeno un 10% delle cecità tra le diverse patologie oculari - spiega Luca Cimino oculista responsabile dell’Ambulatorio Uveiti presso l’Azienda Ospedaliera Arcispedale S. Maria Nuova di Reggio Emilia e organizzatore del convegno - Ma anche quando la malattia non porta a cecità può comunque causare perdita della funzionalità visiva, o complicazioni come edema oculari, cataratta o glaucoma”. La gravità della malattia – considerata rara, ma in crescita negli ultimi anni – è dovuta anche al fatto che spesso le uveiti colpiscono in giovane età: dai 20 ai 40 anni in media. Ma a volte ancora prima, già in età pediatrica. Quanto? Non è chiaro, perché non esistono dati precisi per la popolazione italiana. Dai casi registrati presso il centro a Reggio Emilia può essere fatta soltanto una stima: circa 16 casi ogni 100 mila abitanti, come racconta lo studio di Cimino e colleghi appena pubblicato su International Ophthalmology.

Un nome, mille facce. Un dato, quello di prevalenza, che abbraccia tutte le uveiti, nelle loro innumerevoli sfaccettature. Sotto il cappello uveite, infatti, finiscono infiammazioni dell'occhio (della zona dell'uvea in particolare, ma non solo, coinvolgendo spesso anche il nervo ottico e la retina) con cause diverse, non sempre di facile identificazione. “Classicamente si dividono le uveiti in infettive e non infettive: le prime rappresentano circa un terzo dei casi con cui abbiamo a che fare, e sono dovute a infezioni quali herpes, alla toxoplasmosi, alla tubercolosi, o ancora alla sifilide e citomegalovirus - spiega Cimino - Ma la gran parte delle uveiti non sono infettive, si associano ad altre patologie reumatiche e autoimmuni, di cui possono essere anche il primo sintomo, come la spondilite anchilosante, l'artrite psoriasica o la sindrome di Behcet”. Le uveiti però possono essere anche dovute a un trauma, a una patologia oculare, o comparire in seguito a un intervento chirurgico. Molte volte risalire alla causa esatta è impossibile, tanto che una grossa fetta dei casi è semplicemente nota come uveiti idiopatiche: malattie in cui identificare il fattore eziologico non è possibile.

Un buon momento per diagnosi e terapie. La variabilità di possibile cause rende difficile anche indovinare la diagnosi. Eppure, Cimino ne è convinto, gli strumenti oggi disponibili permettono di arrivare precocemente alla diagnosi. “È un buon momento per le uveiti: oggi, rispetto a qualche anno fa, possiamo infatti fare una biopsia liquida, prelevare un pochino di umore acqueo e capire subito, tramite analisi genetiche, se è presente un'infezione alla base della malattia”, spiega Cimino. Ma non solo: “Possiamo contare anche su strumenti che con il laser che ci permettono di quantificare numericamente l'infiammazione dell'occhio, un vantaggio specie nel caso delle uveiti pediatriche”. Ma il momento è buono anche sul fronte delle terapie: “Accanto ai cortisonici e agli immunosoppressivi come la ciclosporina, da poco abbiamo a disposizione anche un anticorpo monoclonale in grado di spegnere l'infiammazione alla base dell'uveite, adalimumab”, continua il medico. Indicato nei casi di uveiti non infettive aiuta non solo a combattere l'infiammazione dell'occhio, ma anche quella della malattie cui spesso le uveiti si accompagnano, come quelle reumatologiche. “Ecco perché è sempre più necessaria la collaborazione interdisciplinare, dell'oculista con il reumatologo o l'immunologo per la gestione del paziente con uveite”, conclude Cimino. Magari che afferiscano allo stesso centro: auspicabilmente almeno uno per regione, si augura il medico.

DA REPUBBLICA.IT - MEDICINA