LUPUS ERITEMATOSO / LIBRO BIANCO
Inviato: 12/04/2015, 16:50
«Libro bianco» sul lupus eritematoso
Conoscere la malattia, che colpisce in giovane età e soprattutto donne, per migliorare l’accesso alla diagnosi e alle cure
di Maria Giovanna Faiella
3 REUMATOLOGIA
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Si stima che nel nostro Paese di lupus eritematoso sistemico soffrano circa 60mila persone, il 90% donne. Nella maggioranza dei casi questa malattia cronica e autoimmune a carattere sistemico si manifesta in giovane età, tra i 15 e i 45 anni, con pesanti ripercussioni a livello personale, sociale e lavorativo. Ma è ancora poco conosciuta anche dai medici di famiglia e spesso viene diagnosticata in ritardo. Mira a migliorare l’accesso alla diagnosi e al trattamento precoce della malattia il «Libro bianco» curato da Onda, l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e realizzato in collaborazione con gli specialisti, la Società italiana di medicina generale e le associazioni di riferimento dei pazienti, Anmar - Associazione nazionale malati reumatici e Les - Gruppo italiano per la lotta contro il lupus eritematoso sistemico.
Patologia femminile
La copertina del libro
La copertina del libro
Da un’indagine realizzata da Onda su un campione di 250 medici e 300 donne è risultato che il 20% delle intervistate ha dovuto accettare lavori part-time o abbandonare posizioni di responsabilità, il 35% ha rinunciato al lavoro a causa dell’impossibilità fisica a mantenere a lungo impegni, o per troppi giorni di malattia o a causa di ferie e permessi per sottoporsi a continui controlli. «Partendo dai risultati di quell’indagine - spiega Francesca Merzagora, presidente di Onda - è stato organizzato un tavolo tecnico con esponenti di società scientifiche e associazioni di pazienti allo scopo di capire come aumentare la conoscenza della patologia tra la popolazione e i medici di medicina generale, in modo da accelerare i tempi di diagnosi e migliorare l’accesso alle cure. Da qui il “Libro bianco”».
Svelare il «mistero»
«Il volume nasce dall’esigenza di sfatare leggende e creare certezze rispetto a una patologia che o è sottostimata o è demonizzata gettando nel panico il paziente - afferma Pier Luigi Meroni, direttore del dipartimento di Reumatologia dell’Istituto ortopedico Pini e della scuola di specializzazione di Reumatologia all’Università di Milano -. È vero che noi medici impieghiamo del tempo prima di fare la diagnosi perché la malattia è ingannevole, ma oggi ci sono marcatori più sensibili che consentono di individuarla in tempi più rapidi rispetto al passato. Progressi sono stati fatti anche rispetto alle terapie: oltre ai nuovi farmaci, sono usati meglio quelli “vecchi”, conoscendone gli effetti collaterali». Si è allungata l’aspettativa di vita, portare avanti una gravidanza non ha più le controindicazioni degli anni passati, anche se richiede un’attenta programmazione, ma il lupus rimane una malattia invalidante per i pazienti che ne soffrono soprattutto a causa della frammentazione dei percorsi di cura, dalla scarsa presenza sul territorio di strutture specialistiche di riferimento, della mancata offerta di percorsi gratuiti di assistenza psicologica.
Costi umani ed economici
«Ridurre i tempi della diagnosi, che avviene in media dopo due-tre anni dai primi sintomi, può significare bloccare l’evoluzione della malattia evitando, per esempio, che colpisca reni o polmoni - sottolinea Adele Zucca dell’associazione Les -. Essendo poi una patologia multidisciplinare, che richiede l’intervento di un team di specialisti, è necessario rivolgersi a centri di riferimento o a “Lupus clinic”, ambulatori dedicati dove i pazienti trovano l’assistenza di cui hanno bisogno, gli specialisti si parlano tra loro, esiste un ingresso “preferenziale” in caso di urgenza. Ma per chi soffre di lupus - continua Zucca - è importante anche l’assistenza psicologica per non cadere in depressione: oltre alla fatica eccessiva e al dolore costante, spesso si avverte anche un senso di solitudine e di isolamento». “Costi” non solo umani ma anche economici. «Le esenzioni per la patologia sono molto limitate - riferisce Zucca -. Dobbiamo pagare i ticket per alcuni farmaci e indagini diagnostiche, ma esami e controlli ad ampio raggio vanno fatti di frequente. Da anni c’è una proposta di modifica dei Lea, i Livelli essenziali di assistenza. Stiamo ancora aspettando».
14 maggio 2014 | 11:18
DA "CORRIERE SALUTE"
Conoscere la malattia, che colpisce in giovane età e soprattutto donne, per migliorare l’accesso alla diagnosi e alle cure
di Maria Giovanna Faiella
3 REUMATOLOGIA
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Si stima che nel nostro Paese di lupus eritematoso sistemico soffrano circa 60mila persone, il 90% donne. Nella maggioranza dei casi questa malattia cronica e autoimmune a carattere sistemico si manifesta in giovane età, tra i 15 e i 45 anni, con pesanti ripercussioni a livello personale, sociale e lavorativo. Ma è ancora poco conosciuta anche dai medici di famiglia e spesso viene diagnosticata in ritardo. Mira a migliorare l’accesso alla diagnosi e al trattamento precoce della malattia il «Libro bianco» curato da Onda, l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e realizzato in collaborazione con gli specialisti, la Società italiana di medicina generale e le associazioni di riferimento dei pazienti, Anmar - Associazione nazionale malati reumatici e Les - Gruppo italiano per la lotta contro il lupus eritematoso sistemico.
Patologia femminile
La copertina del libro
La copertina del libro
Da un’indagine realizzata da Onda su un campione di 250 medici e 300 donne è risultato che il 20% delle intervistate ha dovuto accettare lavori part-time o abbandonare posizioni di responsabilità, il 35% ha rinunciato al lavoro a causa dell’impossibilità fisica a mantenere a lungo impegni, o per troppi giorni di malattia o a causa di ferie e permessi per sottoporsi a continui controlli. «Partendo dai risultati di quell’indagine - spiega Francesca Merzagora, presidente di Onda - è stato organizzato un tavolo tecnico con esponenti di società scientifiche e associazioni di pazienti allo scopo di capire come aumentare la conoscenza della patologia tra la popolazione e i medici di medicina generale, in modo da accelerare i tempi di diagnosi e migliorare l’accesso alle cure. Da qui il “Libro bianco”».
Svelare il «mistero»
«Il volume nasce dall’esigenza di sfatare leggende e creare certezze rispetto a una patologia che o è sottostimata o è demonizzata gettando nel panico il paziente - afferma Pier Luigi Meroni, direttore del dipartimento di Reumatologia dell’Istituto ortopedico Pini e della scuola di specializzazione di Reumatologia all’Università di Milano -. È vero che noi medici impieghiamo del tempo prima di fare la diagnosi perché la malattia è ingannevole, ma oggi ci sono marcatori più sensibili che consentono di individuarla in tempi più rapidi rispetto al passato. Progressi sono stati fatti anche rispetto alle terapie: oltre ai nuovi farmaci, sono usati meglio quelli “vecchi”, conoscendone gli effetti collaterali». Si è allungata l’aspettativa di vita, portare avanti una gravidanza non ha più le controindicazioni degli anni passati, anche se richiede un’attenta programmazione, ma il lupus rimane una malattia invalidante per i pazienti che ne soffrono soprattutto a causa della frammentazione dei percorsi di cura, dalla scarsa presenza sul territorio di strutture specialistiche di riferimento, della mancata offerta di percorsi gratuiti di assistenza psicologica.
Costi umani ed economici
«Ridurre i tempi della diagnosi, che avviene in media dopo due-tre anni dai primi sintomi, può significare bloccare l’evoluzione della malattia evitando, per esempio, che colpisca reni o polmoni - sottolinea Adele Zucca dell’associazione Les -. Essendo poi una patologia multidisciplinare, che richiede l’intervento di un team di specialisti, è necessario rivolgersi a centri di riferimento o a “Lupus clinic”, ambulatori dedicati dove i pazienti trovano l’assistenza di cui hanno bisogno, gli specialisti si parlano tra loro, esiste un ingresso “preferenziale” in caso di urgenza. Ma per chi soffre di lupus - continua Zucca - è importante anche l’assistenza psicologica per non cadere in depressione: oltre alla fatica eccessiva e al dolore costante, spesso si avverte anche un senso di solitudine e di isolamento». “Costi” non solo umani ma anche economici. «Le esenzioni per la patologia sono molto limitate - riferisce Zucca -. Dobbiamo pagare i ticket per alcuni farmaci e indagini diagnostiche, ma esami e controlli ad ampio raggio vanno fatti di frequente. Da anni c’è una proposta di modifica dei Lea, i Livelli essenziali di assistenza. Stiamo ancora aspettando».
14 maggio 2014 | 11:18
DA "CORRIERE SALUTE"